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Arriva in Italia “La rivincita del signor Nessuno”, il docufilm che Sampaoli non voleva

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Roberto G. Cox è un giornalista e regista cileno, ha 33 anni, viso fresco da cinema, di quei sudamericani da Diari della motocicletta nati pronti. Dopo aver girato per un anno un docufilm sulla prima vita di Jorge Sampaoli, questo ragazzo che lavora in Argentina come corrispondente di un’emittente, Teletrece, prese il telefono e chiamò il tecnico argentino, per invitarlo a vedere la pellicola. Gli sembrava un atto di cortesia verso un personaggio che lo aveva affascinato, così complicato, tormentato, a tratti dilagante, non a caso definito il Mourinho del Sudamerica, il primo capace di portare il Cile a dominare la Copa America. Sampaoli rispose, chiese a Cox come avesse chiamato il film e quando il giornalista glielo disse, cambiò tono. «Un film con quel titolo non lo vedrò mai», disse. Non diede tempo a Cox di ribattere: «E farò in modo che questo film non esca mai o ti farò avere notizie dai miei avvocati».

Il titolo era «El Zurdo, Revancha de un ninguneado», il mancino, rivincita del signor nessuno. Cioè di colui che non aveva un passato da calciatore professionista. Il primo a definire Sampaoli un “ninguneado” era stato Diego Oyarbide, goleador dell’Argentino di Rosario, allenato dal tecnico nel ’96. Sampaoli non aveva mai giocato ad alti livelli, per cui era uno sconosciuto. «Un concetto potente – spiega Cox – che mi ha subito conquistato. Mi sembrava perfetto come titolo». Non si aspettava la reazione violenta del tecnico, ma probabilmente è stato il colpo di fortuna per lanciare un’opera che aveva colto nel segno, perché il docufilm racconta – con immagini inedite – la parabola iniziale di un uomo turbolento e carismatico, sempre fuori dalle righe, un urlatore alla sbarra che i tifosi della Juve hanno potuto conoscere nell’ultimo match di Champions, quando Sampaoli, con quell’atteggiamento scomposto da camperos al mercato delle vacche, aveva inveito contro l’arbitro fino a farsi cacciare. Jorge giocatore sui campi sterrati. Jorge con il numero dieci che batte un rigore. Jorge nei tornei amatoriali della provincia di Santa Fe. Jorge con i capelli. Jorge amante del rock dei Callejeros, con i loro pezzi dedicati a chi non era nessuno, agli invisibili, a chi non molla mai, una band popolare in Argentina ma dal destino tragico: durante la festa di fine anno del 2004, un fuoco d’artificio incendiò il tendone dove erano radunate più di quattrocento persone: morirono in 194, tra i quali moglie, figli e nipoti di alcuni membri della band.

Il Sampaoli che emerge dalle immagini inedite del film è un uomo molto determinato, quasi ossessionato dal calcio e da se stesso, con grande carisma, capace di portare al trionfo una squadra di provincia che non aveva mai vinto niente, e un paese in festa per venti giorni di fila. Sui giocatori ha una presa fortissima. E’ una versione rurale di Marcelo Bielsa, ma gli stessi amici di Jorge, quelli del suo pueblo, Casilda, confessano di non capirlo fino in fondo, di considerarlo intrattabile, sorprendente. Il docufilm restituisce un ritratto prismatico e profondo di un uomo che ha sfiorato il calcio italiano. Due anni fa poteva approdare al Napoli. In estate alla Lazio, poi all’Inter. Non potendo prendere Bielsa, molti pensano a Sampaoli come la soluzione più simile. Il tecnico è finito al Siviglia, dove ha conquistato i tifosi.

Domenica 27 novembre il docufilm ha fatto il suo debutto internazionale in Italia, a Milano, per la rassegna del Festival internazionale, poi verrà presentato in Cile il 15 dicembre, dove è già annunciato come un evento speciale. Sampaoli non apprezzerà, ma è un grande documentario. E, naturalmente, ha mantenuto il suo fortunato titolo.

@MBlognotes

 


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